Il calore di parto
IL CALORE DI PARTO
Il calore di parto della cavalla, lo potremmo definire come il periodo più vicino al parto in cui la cavalla accetterebbe di nuovo il maschio.
Se si pensa alla durata della gravidanza di una fattrice, alle dimensioni di feto ed invogli fetali, alla violenza e alla forza con cui essi vengono espulsi durante il parto e allo sfiancamento che subiscono i tessuti della fattrice durante questa fase, appare alquanto sconcertante come l’animale possa tornare in calore, accettare il maschio e ricominciare una nuova gravidanza, una settimana solo dopo questo evento.
Eppure, nonostante possa essere variabile il tempo che l’utero impiega a ritornare alle dimensioni normali, va detto che, di solito, già dopo alcune ore dall’espulsione della placenta, l’utero si restringe ad un quarto delle dimensioni pre-parto.
A partire da una settimana dal parto, l’organo può essere palpato rettalmente come una massa turgida di dimensioni solo 2-3 volte più grandi di quelle di un utero di una fattrice “barren”(fattrice che ha partorito, ma che affronta la nuova stagione essendo rimasta vuota l’anno precedente).
Nella maggior parte dei casi, comunque, l’utero di una fattrice partoriente, rimane di dimensioni più grandi per circa 30-60 giorni; in alcuni soggetti per tempi ancor più lunghi.
Il calore di parto della fattrice, nella maggior parte dei casi, si manifesta
8 giorni dopo il parto, ha una durata di 4-5 giorni. E’ però possibile che esso
inizi al 7°-6° giorno dal parto così come al 10°; così come è possibile che
non si manifesti per niente. Che, cioè, la cavalla salti questo periodo.
Esso è considerato molto fertile, ma anche “sporco”; proprio a causa dello sfiancamento
che subiscono i tessuti durante il parto.
Infatti:
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Le labbra vulvari possono ancora essere poco competenti e quindi lasciar
passare aria all’interno del vestibolo vaginale. Questo problema è accuito nel
caso la fattrice abbia anche una conformazione vulvare non corretta
(FIG. 1)
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La porzione muscolare della cervice può essere ancora poco tonica, determinando
una incompleta chiusura della stessa. Ciò creerebbe una porta d’ingresso ad
agenti inquinanti come aria (FIG.
2), urina (FIG.3) o trasudati provenienti dall’infiammazione
della parete vaginale che per gravità si depositerebbero sul fondo del vestibolo
vaginale, proprio a contatto con lo sfintere cervicale (dopo il parto la massa
dell’utero, ancora di dimensioni ragguardevoli, crea una inclinazione del vestibolo
vaginale in senso postero-anteriore). Inoltre, lo stesso accoppiamento naturale,
provocherebbe l’ingresso d’aria, attraverso la cervice, nell’utero, proprio
per la scarsa capacità tonica della cervice nel richiudersi.
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Dopo il parto e l’espulsione della placenta, il tessuto muscolare uterino
effettua delle contrazioni che permettono il ridimensionamento di tutto l’organo
nonché il suo svuotamento da residui infiammatori dal parto.
Una ridotta capacità di contrazione, un anomalo sfiancamento dell’utero, un
lento ridimensionamento dell’organo, una ritenzione di placenta, non fanno altro
che determinare accumulo di liquidi infiammatori all’interno del lume uterino
(FIG. 4); e incapacità dello stesso ad eliminarli
con i normali meccanismi fisiologici.
A tutto ciò aggiungerei che, spesso, in presenza di uno o più di questi fattori,
si associa la complicazione degli agenti inquinanti descritti prima. Compreso
il liquido seminale dello stallone (nel caso esso copra la fattrice al calore
di parto) che, rimanendo più tempo del dovuto all’interno dell’utero, e proprio
per i meccanismi sopra descritti, crea un ambiente non idoneo all’impianto della
vescicola embrionale e un potenziale terreno per la crescita batterica.
Ecco perché il calore di parto viene considerato “sporco”; inoltre sconsigliato
in un programma di inseminazione artificiale con seme trasportato, praticamente
vietato se si vuole utilizzare il seme congelato.
Vorrei, inoltre, soffermarmi sul termine “sporco” e su un fenomeno che, a mio
avviso, pochi conoscono: corpo luteo da lattazione o falsa gravidanza.
In alcuni casi, la fattrice, dopo aver manifestato il calore da parto, entra
in uno stato di diestro (assenza di ciclo e rifiuto dello stallone) che può
durare da 1 a 3 mesi. Questo può essere provocato dalla lattazione (non ancora
dimostrato), da una scadente condizione fisica dell’animale al parto, oppure
dal fatto che il parto è avvenuto molto presto nella stagione (gen, feb., mar.;
questi sono, infatti, i mesi in cui il ciclo ormonale della cavalla non ha ancora
raggiunto la sua massima efficienza (vedi articolo sul calore di transizione)).
Se la fattrice, in queste circostanze, è stata coperta al calore di parto e
non è più ricontrollata, succede che il proprietario si ritrova con una cavalla
che, rifiuta comunque lo stallone, ma dopo tre mesi (quando ritornerà in calore
o sarà controllata) risulterà vuota.
La stessa identica situazione si può verificare qualora la cavalla fosse coperta
al calore di parto, rimanesse gravida, ma riassorbisse fra 15 e 35 giorni di
gravidanza (a causa dello “sporco” presente nell’utero).
Il consiglio che vorrei lasciare con quest’articolo è che il calore di parto,
è noto, è molto fertile ma spesso “inquinato” dai meccanismi fisiologici del
parto, come ho descritto. Sarebbe, quindi, meglio saltare questo calore, ed
indurre un calore artificiale 20-22 giorni dopo il parto, dopo aver controllato
lo stato sanitario della cavalla.
Si perdono circa 10-15 giorni in più rispetto all’accoppiamento di parto, ma,
questi giorni, associati all’effetto della prostaglandina (studi recenti ne
dimostrano l’effetto drenante sulle raccolte di liquido nell’utero), permettono
un ripristino delle condizioni fisiologiche dell’utero che aumentano le probabilità
di gravidanza della fattrice e, soprattutto, del mantenimento dell’embrione
fino al parto.
Per concludere l’articolo vorrei riportare alcuni dati statistici (TAB.1) estrapolati da studi retrospettivi di settore.
Secondo tali studi, fattrici in lattazione e cavalle accoppiate durante il calore
di parto, hanno un’incidenza di morte embrionale più alta rispetto a cavalle
non in lattazione.
Nonostante ciò, in uno studio retrospettivo di 2562 gravidanze di cavalle in
lattazione e non, l’incidenza di morte embrionale precoce, è risultata simile.
Ultimo aggiornamento: 15 novembre, 2006